Ma dove li avete gli occhi?... a casa del diavolo?
Mangiare a digiuno fa sempre male.
..un filosofo antico, fors'anche un greco, non si sa mai! ha detto:
"La casa è l'individuo".
Veramente io direi: la casa è il padrone di casa.
..è questa dunque l'educazione che ti insegno? Ricordati bene che l'amore del prossimo è la prima cosa. Chi dimentica le massime paterne, si trova sempre esposto alle torture del rimorso, come pure a un paio di calci, che ti darò senza pregiudizio di un altro paio che tu potrai ricevere, a sussidio di questi miei insegnamenti..
..scendete subito di tavola e venite a ricevere, da figlio obbediente, quei due calci che vi aspettano, e che un padre deve inculcare, nei più gravi momenti della vita, alla propria figliolanza.
..gli organici non potranno mai essere cosa seria e stabile, se non si organizzano prima i pubblici servizi i quali non rispondono ai pubblici bisogni.. quando un regnicolo ha un bisogno, questo non è che un bisogno privato, poiché deriva appunto da una privazione. Ma se, invece, un popolo, compenetrato nella propria esistenza di consorzio civile, s'inculca bene nel potere legislativo, e manomette le riforme organiche delle tabelle definitive, allora tutti provano qualche cosa che non si spiega, la quale sarebbe appunto un pubblico bisogno, che deve corrispondere ai pubblici servizi.. Mi spiegherò con un esempio: un cittadino morigerato prova un bisogno pubblico. Che cosa fa egli in simile frangente? Ricorre, col rispetto che si deve, al potere legislativo, e gli dice: io ho il tale bisogno pubblico, la mi faccia un po' lei corrispondere a quel servizio che di dovere.. Allora il potere legislativo lo manda a quel servizio.
..le dolorose manifestazioni di un animo, turbato da legumi troppo coriacei.
L'uomo è un animale tanto basso, che non ve n'è alcuno che lo equipari.. Rifiutatevi di dare i vostri amplessi agli uomini. Non siate più operaie, se non vi mettono allo stesso livello dell'uomo: non siate più donne perdute: scioperiamo. Lo stato dovrebbe indennizzare la donna tutte le volte che questa prestasi a farsi fecondare.
Noi finiremo per entrare, onde uscire da questa perplessità.
..tergiversiamo nuovamente il cammino già compiuto, torniamo a questa via non meno Crucis che nazionale.
L'amore, infatti, parla più spesso con la mano che con la lingua, e la prima dichiarazione di solito non è altro che la lieve pressione di un dito mignolo che si allaccia a un altro dito mignolo, primo e simbolico anello di quella catena che è il distintivo... dei lavori forzati matrimoniali a vita.
..in quasi tutte le cose del sesso amabile, il punto più difficile e sempre... l'introduzione.
..lo sforzo maggiore per un artista consiste precisamente in questa cosa che pare semplicissima: recitare come si parla.
Eh, se fosse una cosa facile, ma allora tutti sarebbero artisti; mentre invece ci prego di riflettere a questo fenomeno: prendete uno che in privato parla benissimo, lo portate sulla scena, qui, davanti a questi quattro lumi della ribalta, e non gli cavate di bocca neanche una parola con le tenaglie.
Recitare come si parla! Sicuro; ma intanto, prima di tutto, cominciamo da questo: che bisogna parlar bene, e per imparare soltanto a parlar bene, occorre uno studio lungo, assiduo, che vale, credete, quanto un corso di università. Arrivati a questo, che è cosa difficilissima, è anche necessario rendere cervello e nervi talmente sensibili a ogni commozione da poter, con un atto di volontà, trasformare interamente il nostro individuo fisico e morale, passare dal riso al pianto, dalla calma allo sdegno; per così dire, dal freddo glaciale al caldo vulcanico dalle nevi all'incendio, come fosse niente. E' una ginnastica terribile, è una scherma dello spirito, tutto a spese del sistema nervoso, a spese di tutto ciò che costituisce l'esistenza ordinaria.
Perché poi questo non è ancora che una parte del nostro lavoro. Non basta che sentiamo noi: l'essenziale è che facciamo sentire. Per cui è necessario che la forma esterna del nostro sentire parli, e ben chiaro, al sentimento di tutti coloro che ci vedono e ci sentono, per costringerli a provare quelle emozioni stesse che noi fingiamo di sentire. Così che, mettiamo, quando io devo ridere, io rido veramente, ma non rido mica per piacere mio, rido per far ridere il pubblico, così che quest'atto così spensierato per tutti quanti, per me, invece, racchiude questi pochi pensieri, queste poche preoccupazioni..
Prima di tutto: ridere mentre non ne ho voglia.
Secondo: ridere a tempo, con l'intonazione stessa del momento in cui recito.
Terzo: ridere, non già come rido io, quando... rido, ma ridere come deve ridere il personaggio che rappresento.
Quarto: ridere non per divertimento mio; che anzi sbadiglierei, ma per far ridere la platea.
Quinto: ridere in proporzione al motivo per cui mi è imposta la risata.
..E questo lo chiamano ridere? questo è un martirio. Vorrei che vi provaste anche a sorridere, con simili preoccupazioni nel cervello; eppure io devo sapere quando convenga fare, mettiamo, un sorrisetto ironico, ..o piuttosto il riso di un idiota, o piuttosto un riso paterno e giovevole ..o un risolino economico di strozzino amabile, o anche una risata galante di gran signore ..o il riso convulso di un pletorico ..e infine la risataccia sguaiata che faccia tremare i vetri del soffitto. Credetemi è una cosa da piangere.
..In sostanza io devo saper piangere e ridere insieme con tutte le sfumature, con tutte le variazioni possibili; e se ci fosse un istituto di recitazione per conseguire una laurea nell'arte, l'esame, secondo me, dovrebbe consistere in questo solo esperimento: fingere un dialogo con un interlocutore invisibile, che vi faccia passare attraverso a tutte le passioni, a tutti i movimenti dell'animo umano, dalla noia all'interesse, dall'attenzione allo sdegno, dallo sdegno alla curiosità, da questa al riso, dall'ilarità alle lagrime e anche viceversa.
..Ora se certuni sapessero quanto ci vuole per arrivare a questi effetti, che paiono una burletta, se sapessero che martirio dell'anima è questa ginnastica di sentimenti, se sapessero a traverso a quanti pensieri, a quanti dolori di testa e di spina dorsale si può arrivare a quest'arte complicata che si chiama la semplicità, forse loro passerebbe persino dal capo l'idea innocente di diventare filodrammatici.
Senza contar poi che l'artista, come uomo, è sempre uomo, è sempre uno zingaro vagabondo, che passa sopra la terra come un commesso viaggiatore della parola, senza posa, senza nido, senza domani: obbligato a essere tutto, a sentire tutto, a sapere un mondo di cose...
Perché in sostanza l'artista, il vero artista, ha il dovere di sapere tutto, tutto... meno la parte!
La riproduzione di sé medesimo, da qualunque lato la si consideri, è un'aspirazione umana e una necessità sociale.
L'uomo ha sempre avuto desiderio acuto e naturale di tirare sé stesso a uno o parecchi esemplari. A raggiungere tale scopo, un tempo non esisteva che un sistema: quello d'aver dei figli. Ma poi... non somigliavano. Ora invece si ricorre alla fotografia. La quale, diciamolo pure, ha invaso e sottomesso l'intera umanità, non senza causare frequenti disastri..
Dunque le azioni dell'uomo giusto devono essere tali da potersi impunemente riprodursi in fotografia. Ma non basta neppure essere giusti. Mentre l'arte del fotografo ha fatto progressi enormi, un'arte sorella è rimasta nella barbarie; l'arte di farsi fotografare.
Basta sfogliare un album di fotografie, per rimanere oltremodo inorriditi davanti all'ignoranza di quelle persone che hanno creduto di farsi fare un ritratto. Tutti artificiosi! tutti posatori! L'uomo o la donna che s'abbandona alla fotografia dovrebb'essere una persona tranquilla e semplice come una figura giottesca. Errore dei più gravi, è l'indossare un abito nuovo o raramente usato. L'abito nuovo è un grande nemico dell'uomo. La persona che porta a spasso un abito nuovo ha sempre la fisionomia contraffatta. Egli ha un occhio che ride e un occhio che piange. L'occhio destro sorride all'abito nuovo e lo ammira specchiandosi nelle vetrine dei negozi: ma l'occhio sinistro ha paura di quella macchia che ovunque pende sui soprabiti nuovi, come quella spada di Damocle che, tanto per cambiare, chiamerei la dama di Spadocle. E' inutile! l'uomo oppresso da un abito nuovo ha un'andatura diversa dalla solita: una maniera diversa di pensare... Che più? un abito nuovo può cambiare persino, violentemente, il corso fatale della vita d'un individuo. Supponiamo uno dei casi più comuni..
Dunque è domenica: io indosso un abito nuovo e lo porto a spasso. Quando gli è il tocco, vado in trattoria. Il cameriere, che conosce i miei gusti, mi offre un fricandolino col sugo che schizza. A me che ho un soprabito nuovo?... Fossi matto. Mi rassegno invece a una fetta di arrosto freddo, asciutto e tiglioso, che mi resta sullo stomaco. Il soprabito è salvo, ma la salute è compromessa. La sera vado a trovare, mettiamo, la mia fidanzata; ma un uomo che sta male di stomaco non sa essere galante, e ne segue un ricambio di sgarbi e di dispetti. Per reazione, vado al circolo a giuocare, e naturalmente perdo, Così da una parte disperdo il matrimonio, dall'altra disperdo i patrimonio. Allora divento irascibile. Perché ho un carattere originale, molto diverso dagli altri: per esempio, quando perdo... son di cattivo umore!
Nasce una questione con un compagno di gioco: dalla questione nasce una sfida: all'alba si va sul terreno e l'avversario mi fa cinque buchi sul soprabito che ho salvato dal fricandolino. Un individuo vestito di nuovo, perciò, è quasi sempre in punto di morte. Come può mai un agonizzante essere in grado di farsi un ritratto in fotografia?
Altro sbaglio, non meno grave, quello di consegnar la testa al barbiere prima che al fotografo: sbaglio grave farsi lisciare i capelli, specialmente quando non se ne ha; farsi lisciare o tingere i baffi, procurarsi cioè una faccia artificiale, di breve durata, quasi per mistificare il fotografo, come a dirgli:
"Desidero un ritratto che, fra qualche ora, non abbia più alcuna rassomiglianza con me".
Nel momento supremo poi tutti cadono in uno sbaglio fondamentale: dimenticano di dimenticare che stanno davanti al fotografo, così che il ritratto ha l'impronta odiosa di un uomo che sa di farsi fare il ritratto.
L'ideale sarebbe di poter dire al fotografo:
"Vi do tempo due mesi, sei, un anno; per prendermi nel momento opportuno e senza che io mene accorga, fotografatemi".
Sistema eccellente, ma inattuabile, tanto più per le signore.
Una signora ha sempre dei momenti in cui non desidera essere sorpresa da nessuno, neppure da un fotografo.
Ogni stabilimento fotografico dovrebbe avere un salone d'aspetto, che chiamerei la sala delle anime inconsapevoli. Mente il cliente aspetta, da un buco invisibile il fotografo potrebbe ritrattarlo a sua insaputa, con un soccorso dell'istantanea. Ma allora tutti i ritratti rappresenterebbero, con desolante monotonia, un uomo che aspetta, e l'uomo che aspetta non ha più la sua faccia, ma la faccia dell'uomo che si rompe le scatole.
Conviene dunque concludere che tra la fotografia e la specie umana esiste ancora un abisso, e in attesa di tempi migliori converrà prendere una via di mezzo: usare della fotografia, ma non abusarne.