lunedì 25 novembre 2013

Cane pallido - Heinrich Boll


Dovevano essere quasi le sette. E sebbene sapesse che il cuore di lei batteva quietamente per lui con amore, con un amore che nessun'altro gli avrebbe dato più, dentro di sé da qualche parte sentiva che lei non gli apparteneva e che avrebbe dovuto rinunciare a lei, per qualcosa che non aveva mai avvertito così, qualcosa di indicibile che dalle sua stringhe sfilacciate arrivava fino al cielo, alle nuvole che lei talvolta aveva contemplato con pensieri che lui non avrebbe mai conosciuto. L'avrebbe persa a causa del mondo, quel mondo che gli aveva sempre reso facile pensare alla morte e difficile pensare alla vita...
Su una porta e su una parte della parete la finestra era disegnata ingrandita con le sue strisce bianche e nere, una proiezione deliquescente, morbida e dai tratti indefiniti, le strisce bianche tremolanti, sfumate anche quelle nere, e in quel momento vide che il grande crocefisso nero, che un tempo era appeso sotto nell'ingresso, adesso era appeso era lì...
All'improvviso si sentì di nuovo oppresso dall'estraneità della stanza che non gli apparteneva, da quell'odore stranamente pulito e delicato di sapone, di abiti e da un lieve sentore di fumo di sigarette. D'un tratto si rialzò, afferrò il tascapane e aprì la porta. Mentre girava di nuovo la chiave nella serratura, riflettè su chi poteva essere il destinatario del biglietto attaccato alla porta. Ma quel pensiero non risvegliò in lui la minima gelosia. No, non era geloso delle persone. Le persone erano tutte uguali, e tutte erano sole, lui odiava il mondo e ne era geloso, odiava i pensieri che dovevano riempirlo...

dal racconto "Paradiso perduto"

17042013

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